Prima dei manuali e dei social, le immagini spiegavano come vivere in società
Per molti secoli l’arte non è stata soltanto un medium tecnico e/o estetico da ammirare, bensì un mezzo di comunicazione essenziale, quale strumento educativo e un linguaggio condiviso. In un mondo in cui la maggior parte delle persone era analfabeta e dunque non sapeva leggere, le immagini avevano il compito di spiegare come ci si doveva comportare, cosa era giusto desiderare e cosa evitare.
Guardare un’opera non significava imparare in modo astratto, ma piuttosto attraverso esempi visivi, emozioni riconoscibili e storie facili da ricordare. L’arte funzionava come un manuale di morale aperto a tutti i ceti sociali.
Già Giotto (1267-1337) lo aveva capito con straordinaria lucidità. Nella Cappella degli Scrovegni (1303-1305) a Padova i suoi affreschi non si limitano a raccontare episodi della vita di Cristo e di Maria, ma mostrano reazioni umane: il dolore composto, il tradimento, la compassione. Le figure piangono, si abbracciano, si voltano. Lo spettatore non osserva da lontano, ma si riconosce in quelle emozioni. L’insegnamento passa attraverso l’empatia: capire cosa è giusto significa anche sentire cosa si prova.
Poco più tardi, Ambrogio Lorenzetti (1290-1348) realizza nel Palazzo Pubblico di Siena il ciclo del Buon Governo e del Cattivo Governo (1338-1339). Qui l’arte entra direttamente nella vita civile. Le immagini mostrano una città ordinata, prospera e sicura quando la giustizia guida il potere, e una città in rovina quando domina la corruzione. Non servono testi complessi: l’immagine spiega tutto. È un’educazione politica visiva, pensata per chi governa ma anche per chi è governato.
Nel Rinascimento, l’arte sviluppa un altro potente strumento educativo: l’allegoria. Concetti astratti diventano figure riconoscibili. Nella Primavera (1480) di Botticelli (1445-1510), la Grazia, la Castità e l’Armonia non sono idee vaghe, ma corpi, gesti, movimenti. L’opera suggerisce un modello di equilibrio morale e sociale, un’idea di bellezza legata alla misura e alla convivenza ordinata. Anche senza comprenderne ogni riferimento filosofico, lo spettatore coglie un messaggio chiaro: esiste un modo “giusto” di stare al mondo.
Con il tempo, questa funzione educativa non scompare ma si trasforma. Nei secoli successivi, opere come I proverbi fiamminghi (1559) di Pieter Bruegel il Vecchio (1525-1569) mostrano comportamenti umani attraverso scene quotidiane e spesso ironiche. L’osservatore riconosce vizi, errori e assurdità della vita comune. L’arte non impone più solo un modello ideale, ma invita a riflettere su sé stessi attraverso il riconoscimento.
Dalle immagini del passato a quelle di oggi
Se ci fermiamo a guardare, il meccanismo non è poi così distante da quello che viviamo oggi. Anche nel presente impariamo molto senza rendercene conto, attraverso immagini che scorrono davanti ai nostri occhi ogni giorno. Video brevi, post, storie, contenuti educativi o motivazionali costruiscono modelli di comportamento, di successo, di accettabilità sociale.
Come gli affreschi medievali o le allegorie rinascimentali, anche queste immagini non spiegano con regole scritte. Mostrano esempi, ripetono schemi, premiano atteggiamenti. Cambia il mezzo, ma non il potere formativo dell’immagine.
Capire che l’arte del passato insegnava come comportarsi ci aiuta a leggere con più consapevolezza il presente. Le immagini non sono mai neutre. Educano, influenzano, modellano.
Forse la differenza più grande non è tra ieri e oggi, ma nel nostro livello di attenzione. Un tempo sapevamo che quelle immagini servivano a educare. Oggi spesso dimentichiamo di chiederci cosa ci stanno insegnando e, per questo, le immagini stesse vengono depauperate del loro valore educativo.
⭐ Ogni immagine educa. La vera domanda è: a cosa?
